Master Politica Militare Comparata Dottrina Strategia Armamenti
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1 settimana fa
Blog di sviluppo per l'approfondimento della Geografia Politica ed Economica attraverso immagini, cartine, grafici e note.Atlante Geografico Statistico Capacità dello Stato.Parametrazione a 100 riferito all'Italia. Spazio esterno del CESVAM - Istituto del Nastro Azzurro. (info:centrostudicesvam@istitutonastroazzurro.org) Il Blog, nell'ambito dell'Atlante, riporta anche post relativi allo spazio.
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In attesa del giudizio della Commissione europea continua laquerelle italo-tedesca sulla costruzione del gasdotto Nord Stream 2. A farne le spese, oltre alle relazioni bilaterali sono anche gli sforzi dell’Unione europea, Ue, di creare un approccio comune alla sicurezza energetica. A seguito della bocciatura di South Stream, l’Italia si è fortemente opposta al progetto Nord Stream 2 - che inizialmente coinvolgeva quattro compagnie europee, di cui due tedesche e la russa Gazprom (che ne possiede il 50%), ma al momento gli accordi sono in via di ridefinizione - e ha accusato la Commissione europea di adottare standard diversi per Roma e Berlino. Tuttavia a un’analisi più dettagliata dei fatti, sembra che in questa storia il gas sia solo il pretesto per una sfida più audace che l’Italia lancia non solo alla Germania, ma anche all’Ue e soprattutto a se stessa. E c’è chi, come la Russia, cerca di trarre vantaggio da questa lite. Mosca infatti mira a consolidare il suo ruolo di principale fornitore di gas naturale all’Europa. Nord Stream 2: il “no” dell’Italia L’Italia è il secondo importatore di gas naturale russo in Europa e transita attraverso il territorio ucraino. Il percorso di Nord Stream 2, al pari di Nord Stream 1 che è già operativo, bypassa l’Ucraina, la Repubblica ceca e slovacca per arrivare direttamente in Germania passando sotto il mar Baltico. Se, come annunciato, Gazprom taglierà i rifornimenti all’Ucraina entro il 2019, la Germania diventerebbe il principale Paese di transito per le importazioni italiane di gas dalla Russia. L’industria italiana perderebbe molto in termini di competitività, poiché sarebbe costretta a importare energia a un prezzo più alto (dovuto alle tariffe di transito e ai costi di realizzazione di nuove interconnessioni tra Germania e Italia) dal suo diretto concorrente. Inoltre, Nord Stream 2 sposterebbe al nord il fulcro dell’approvvigionamento energetico europeo, compromettendo il ruolo di hub energetico dell’Italia nel Mediterraneo. Tuttavia, l’argomento principale con cui l’Italia si oppone a Nord Stream 2 riguarda la vicenda del gasdotto South Stream, bocciato dalla Commissione europea in ragione dell’incompatibilità con le direttive del Terzo pacchetto energetico. L’Italia lamenta perdite economiche importanti e vorrebbe che a Nord Stream 2 fossero applicati i medesimi criteri che hanno portato alla cancellazione di South Stream. Da un’analisi più approfondita si capisce però che le ragioni economiche sono solo la punta dell’iceberg. Quello che l’Italia contesta con forza sono l’applicazione di standard diversi per Roma e Berlino nell’Ue - dove i funzionari tedeschi occupano ruoli chiave – e un ruolo più incisivo all’interno dell’Unione. L’ambivalenza tedesca A giudicare dalla linea dura sulle sanzioni alla Russia, l’appoggio del governo tedesco a Nord Stream 2 potrebbe sembrare piuttosto fuori luogo perché apporterebbe grandi vantaggi alla Russia, ma priverebbe l’Ucraina dei ricavi sul transito del gas. Per capire l’impatto della questione Nord Stream 2 in Germania è tuttavia necessario esplorare tre dimensioni: innanzitutto il rapporto con Mosca, che non è una questione pacifica per Berlino non solo a livello politico ma anche sociale; in secondo luogo le pressioni della comunità imprenditoriale tedesca, parte della quale vorrebbe riprendere a commerciare regolarmente con la Russia; infine un problema di carattere politico che investe le dinamiche infra-partitiche e mette in dubbio le scelte di politica europea, come si può notare dall’ascesa del partito euroscettico Alternativa per la Germania. La cancelliera tedesca Angela Merkel non può semplicemente ignorare le istanze di importanti politici il cui contributo è decisivo nella coalizione di governo. Ha bisogno di mostrare flessibilità nei confronti della Russia, nonostante i danni potenziali che Nord Stream 2 apporterebbe all’indipendenza energetica europea. Secondo alcuni esperti la cancelliera potrebbe lavorare dietro le quinte e incoraggiare la Commissione a rivedere la compatibilità di Nord Stream 2 con il terzo pacchetto energetico. Se la Commissione non accordasse a Nord Stream 2 le stesse deroghe previste per Nord Stream 1, la Merkel potrebbe evitare di intervenire in prima persona, facendo passare il tutto per una decisione più coerente con le scelte europee in generale. La partita di Mosca Per Mosca, Nord Stream 2 è una partita importante perché le consentirebbe di raggiungere il mercato europeo eliminando i rischi legati al transito dei gasdotti in Ucraina, passaggio che da sempre crea scompiglio nella distribuzione e nei pagamenti. La costruzione di questa consentirebbe a Gazprom di mantenere una posizione di privilegio e di maggiore competitività nelle forniture energetiche all’Europa a discapito del gas naturale liquefatto proveniente, tra gli altri, dagli Stati Uniti. C’è però anche una questione di politica estera. Il progetto Nord Stream 2 semina zizzania e non c’è dubbio che esso possa influenzare negativamente la realizzazione di una politica energetica comune più coesa, come previsto delle linee guida dell’Unione energetica. Finora il piano sembra reggere: su Nord Stream 2 e nei rapporti con Mosca l’Italia e la Germania rifuggono la cooperazione e adottano strategie individuali. Ancora più grave è la messa in discussione della credibilità delle istituzioni europee, in modo particolare della Commissione - di cui l’Italia critica il doppio standard - e la coerenza dell’azione esterna che si incrina periodicamente, a seconda delle esigenze politiche ed economiche dei singoli Paesi. |
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A ribadirlo è l’esplicito riferimento nella European Global Strategy, dove il cambiamento climatico è descritto come un vero e proprio moltiplicatore della minaccia perché catalizzatore di carenze idriche, pandemie, flussi migratori. Coerente con tale impostazione, il 27 aprile, attraverso la comunicazione “Una politica europea integrata per l’Artico”, l’Ue ha inteso apportare un nuovo contributo alla cooperazione internazionale per rispondere al cambiamento climatico, partendo proprio dalla regione che più velocemente risente del riscaldamento globale. L’impegno Ue per l’Artico, dal 2008 ad oggi L’esplicito impegno dell’Ue nella regione risale al 2008, con la Comunicazione della Commissione europea dal titolo “L’Unione europea e la regione artica”, attraverso la quale venivano evidenziati gli effetti dei cambiamenti climatici e delle attività antropogeniche nell’Artico, nonché individuati gli interessi e gli obiettivi strategici dell’Ue nella regione, principalmente: tutela dell’Artico di concerto con la sua popolazione; promozione dell’uso sostenibile delle risorse; contributo a una migliore governancemultilaterale. L’Ue si faceva promotrice di una serie di risposte da avviare sistematicamente e in coordinamento agli stati artici, nella consapevolezza che la scarsità delle infrastrutture e le particolarità della regione aggraverebbero la difficoltà nelle gestione delle emergenze. Nella comunicazione del 2008 le zone europee dell’Artico venivano considerate una “priorità della politica della dimensione settentrionale” e, più in generale, premessa la particolare vulnerabilità degli spazi marini e terrestri della regione ai cambiamenti climatici, si prefigurava il fatto che un’alterazione della dinamica geo-strategica dell’Artico avrebbe ripercussioni sugli interessi europei in materia di sicurezza e sulla vita delle prossime generazioni di cittadini europei. Nella Comunicazione 2016, l’Unione esprime ora un proprio interesse strategico nel giocare un ruolo chiave nella regione. Interesse spiegato non solo dal fatto che, tra gli otto paesi artici, tre sono membri dell’Ue (Danimarca, Finlandia, Svezia) e due appartengono all’area economica europea e sono associati ad Horizon 2020 (Islanda e Norvegia), ma anche da una serie di attività che l’Ue conduce in diversi campi (da quello energetico a quello della ricerca e delle osservazioni spaziali), nonché dalle politiche adottate in settori (come quello della pesca e dei trasporti) che hanno un impatto sugli sviluppi economici nella regione. La ricerca passa anche dallo Spazio L’Artico, per le sue caratteristiche geologiche e geofisiche, offre, invero, opportunità senza paragoni per il progresso nella ricerca scientifica e tecnologica, insieme a quelle in termini occupazionali che ne discendono. Sin dal 2008, l’importanza da attribuire alla prevenzione e all'attenuazione dell’impatto negativo dei cambiamenti climatici, nonché la priorità da assegnare alla conoscenza del territorio si sono concretizzati in 200 milioni di euro destinati alle attività di ricerca. Al momento si prospetta che vengano mantenuti analoghi livelli di finanziamento per il programma H2020 (2014-2020), nel quale rientra anche il progetto Eu-Polar Net, il più grande consorzio mondiale di istituti di ricerca multidisciplinari dedito allo sviluppo di un programma di ricerca comunitario integrato che sia in grado di identificare esigenze scientifiche a breve e lungo termine, nonché atto, attraverso il più elevato grado di coordinamento nella ricerca trans-disciplinare e la più stretta cooperazione e lo scambio di informazioni chiave con i soggetti interessati a livello internazionale, allo studio di un quadro strategico per l’ottimizzazione dell’uso delle infrastrutture polari, prima fra tutte quelle di trasporto. Opportunità che l’Ue sembra aver colto con successo coinvolgendo le attività che conduce nel settore spaziale. Un importante contributo alle attività di monitoraggio panartico delle condizioni atmosferiche, delle variabili climatiche, dello spessore del permafrost, e una migliore modellizzazione oceanografica arriva, infatti, dalla messa in opera di Galileo e dei “satelliti sentinella” nell’ambito del programma Gmes, arriverà anche dalle infrastrutture del programma Copernicus e sarà sostenuto dalla Commissione europea grazie all’attuazione di un sistema integrato di osservazione artica terrestre, un’infrastruttura di ricerca multidisciplinare e multinazionale distribuita geograficamente tra le isole Svalbard. Sviluppo economico basato sull’uso sostenibile delle risorse Garantire uno sviluppo economico basato sull’uso sostenibile delle risorse e sulle competenze ambientali è tra le 39 azioni volte allo sviluppo di una politica integrata per l’Artico. La Comunicazione del 2016 rientra coerentemente nel quadro dell’impegno europeo di tener conto delle specificità regionali in sé e nell'elaborazione della politica ambientale da una parte e marittima integrata dall’altra. Nel primo caso, si consolida l’impegno dell’Unione nell’ambito della European Climate Change Programme (Eccp) in direzione della diminuzione del 40% delle emissioni totali di gas serra entro il 2030 e dell’80% entro il 2050. Nel caso della navigazione e del trasporto marittimo, una politica europea per l’Artico ne è dichiaratamente complementare. Il ché rientra nell’ottica sia di valorizzazione delle eccellenze industriali europee nella cantieristica, trasporti navali e infrastrutture aeroportuali, sia di rafforzamento a livello multilaterale dell'autorità dell'Ue quale potenza marittima internazionale. Ciò in connessione anche con la politica comunitaria generale in materia di relazioni esterne. In quest'ottica si inserisce il tentativo, ribadito nella recente Ess, di guidare l'integrazione della dimensione climatica nelle sedi multilaterali, e quello di colmare le lacune nell’attuale quadro di gestione internazionale degli oceani, dello sviluppo di una rete di zone marine protette, e lotta a sfide comuni più prettamente legate, quali la pesca Inn - illegale, non dichiarata e non regolamentata. Se, dunque, l’obiettivo della European Global Strategy è quello di stimolare una riflessione aggiornata sull’arco di instabilità che insiste lungo e all’interno dei confini, l’Ue prende atto che le sfide strategiche sono quasi sempre asimmetriche e l’asimmetricità non si limita alle nozioni tradizionali di sicurezza. In questo senso, è rilevante l’attenzione dedicata al tema del cambiamento climatico e alla vulnerabilità di una regione come quella artica, a dimostrazione del fatto che, in un tempo veloce e di reazioni rapide, la lungimiranza può ancora guidare le scelte strategiche. Elena Cesca è PhD Candidate in Storia dell'Europa presso la Sapienza di Roma su tematiche di cooperazione tecnologico-militare in ambito Nato e collaboratore parlamentare presso la Camera dei Deputati. Ha svolto un tirocinio presso l'area Sicurezza e Difesa dello IAI. |
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In seguito agli attentati di Parigi di novembre 2015, il Consiglio europeo ha approvato l’utilizzo del sistema Pnr (Passenger Name Record) per reati legati al terrorismo obbligando le compagnie aeree a consegnare ai paesi europei i dati dei passeggeri. Dopo gli ultimi attentati a Bruxelles a marzo invece, si è ricominciato a parlare della necessità di adottare il modello Ben Gurion negli aeroporti. Analisi comportamentale Il modello Ben Gurion, dal nome del fondatore dello stato d’Israele, è il sistema di sicurezza adottato nell’omonimo aeroporto di Tel Aviv. Tale sistema di sicurezza è composto da almeno sette strati che iniziano ancora prima di entrare in aeroporto: Ispezione del veicolo di arrivo; domande preliminari e attribuzione del codice di “pericolosità”; screening bagaglio; apertura bagaglio e test per rilevare traccia di esplosivi; check-in; controllo di sicurezza e controllo documenti. Gli ultimi tre step sono la norma nella maggior parte degli aeroporti internazionali. Israele si distingue per i passaggi 1-4 che avvengono ancora prima di effettuare il check-in. Non tutti vengono sottoposti allo stesso trattamento. Il punto cardine del modello Ben Gurion è che si basa sull’osservazione delle persone e non sugli oggetti proibiti in aeroporto. L’aeroporto è costellato da personale addestrato in analisi comportamentale. Non esistono controlli casuali come negli aeroporti statunitensi. Le domande possono sembrare assolutamente insensate, ma servono a rilevare incongruenze e bugie. Problematiche etiche e pratiche La facilità o meno nel passare da uno strato all’altro è determinata da una vera e propria analisi del “profilo” di ogni passeggero, in primis determinata dall’appartenenza etnico/religiosa. Arabi, musulmani e poi giornalisti, cooperanti etc. sono sottoposti a tutti i passaggi e potrebbero addirittura incontrare screening aggiuntivi, interrogatori e perquisizioni corporali. Al di là delle evidenti problematiche etiche, il modello dell’aeroporto di Tel Aviv, con 16 milioni di passeggeri nel 2015, è difficilmente applicabile ad altri aeroporti come ad esempio quello di Atlanta, il più trafficato degli Stati Uniti e del mondo, con 100 milioni di passeggeri nello stesso anno. Tel Aviv è un piccolo aeroporto se comparato ad altre capitali il cui sistema di sicurezza si concentra sul profilo razziale e contatto visivo. Modello difficile da esportare Per chi ha avuto la possibilità di risiedere in Israele per un tempo maggiore di una semplice vacanza, ciò che più colpisce di tale modello è che non è applicato solo agli aeroporti. Questo tipo di sistema, basato sulla iper-securizzazione e il racial profiling è rintracciabile in tutti i luoghi pubblici del Paese: stazioni ferroviarie e dei bus, centri commerciali, luoghi di svago. È uno stato mentale basato sulla paura costante di un attentato e che giustifica la violazione e/o sospensione dei diritti umani (privacy, libertà, movimento). Un tale modello è inapplicabile alle alle stazioni ferroviarie europee come proposto all’indomani dell’attentato sventato sul treno Thalys Amsterdam-Parigi. I responsabili dell’attentato all’aeroporto di Bruxelles lo scorso marzo hanno detonato i giubbotti esplosivi prima di entrare nell’area check-in, di fatto spostando il rischio di un attacco al di fuori della tradizionale “zona rossa”. Il punto è esattamente questo: il modello Ben Gurion “funziona” proprio perché tutto il paese è organizzato come l’aeroporto di Tel Aviv ovvero come una permanente “zona rossa” fatta di controlli, check-points e una massiccia presenza di militari che non hanno pressoché alcuna limitazione etico-giuridica. L’estensione della sicurezza aeroportuale agli spazi pubblici avrebbe un costo insormontabile. In termini finanziari, Israele spende 10 volte in più per passeggero per sicurezza aeroportuale rispetto agli Stati Uniti. E in termini psicologici, installare nella mente delle persone l’idea di non essere sicuri in nessun luogo e di aver bisogno di un orwelliano “Big Brother” è un prezzo altissimo che i cittadini israeliani pagheranno per sempre. Sofia Zavagli è assistente di ricerca al Clingendael Institute e Fellow all’International Centre for Counter Terrorism (ICCT) all’Aia. |
| Energia e ambiente Il prezzo del petrolio affonda, le petroliere no Lorenzo Colantoni 19/05/2016 |
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Le iniziative messe in campo dal documento firmato il 30 novembre vanno comunque contestualizzate con la Global Strategy on Foreign and Security Policy dell’Ue e con il suo Implementation Plan, presentati dall’Alto Rappresentante al Consiglio Affari Esteri e Difesa a metà novembre. Complessivamente il documento presenta alcune novità forse inattese e introduce una serie di aspetti che meritano di essere verificati con attenzione nei prossimi mesi, durante i quali si procederà alla sua vera e propria “execution”. Ricerca europea per la difesa Prende vita il cosiddetto European Defence Fund, composto da due “finestre” complementari, ma distinte in termini gestionali, giuridici e finanziari. Il coordinamento tra le due verrà affidato ad un coordination boardcostituito da rappresentanti della Commissione, dell’Alto Rappresentante, degli Stati membri, dell’Eda e, quando necessario, anche dell’industria. |
| Energia Marco Granato 18/04/2016 |
| Europa e terrore Enzo Maria Le Fevre Cervini, Alberto Aspidi 18/04/2016 |
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| Unione europea Difesa Ue, una luce fuori dal tunnel Alessandro Ungaro 28/03/2016 |
| Scandinavia Finlandia, la Grecia del nord? Gianfranco Nitti 12/01/2016 |