All’inizio di marzo sono state pubblicate le previsioni di bilancio dell’Amministrazione Trump, dalle quali si evince che all’Epa (Environmental Protection Agency), già affidata al “negazionista” Scott Pruitt, verranno tagliati i fondi in misura pari a circa il 30 per cento.
Il presidente statunitense non ha poteri di bilancio reali e la proposta deve passare al vaglio del Congresso. Ciononostante, tra nomine e proposte, motivi per una certa trepidazione nell’ambito scientifico e specificamente in quello climatico ed energetico esistono. In questo contesto la marcia della scienza del 22 aprile a Washington ha un chiaro motivo d’essere.
Progetti sconcertanti e proclami che indignano Sconcerta che un Paese come gli Usa che hanno costruito la propria supremazia economica su quella tecnologica, e che primeggiano nella classifica del maggior numero di premi Nobel (quasi triplicando il numero del secondo classificato, 363 contro i 124 del Regno Unito), intenda tagliare i fondi per la ricerca.
L’azione politica del presidente Trump comincia a farsi sentire e non solo in termini militari. In tre mesi, ci sono stati molti proclami che hanno indignato le opposizioni statunitensi e i liberal europei, ma pochi fatti. Era come se l’infuocata campagna elettorale non avesse ancora emesso un giudizio incontrovertibile, Trump appariva un presidente non ancora pienamente legittimato.
Ma questo non è mai stato in discussione, Trump è stato eletto legittimamente. Come è altresì ragionevolmente legittimo il suo negazionismo climatico. Il magnate ne ha fatto uno dei cavalli di battaglia della campagna elettorale: il che significa che chi lo ha votato ritiene che il cambiamento climatico non esiste o che non sia da attribuire alle attività umane.
Nessuno è autorizzato a pensare diversamente: gli americani sono d’accordo con il loro presidente, perché questa è la democrazia, ossia “la peggior forma di governo ad eccezione di tutte le altre (1)”.
Nessuna catastrofe e il peso delle lobby I tagli di bilancio non sono l’apocalisse per un semplice motivo logico: se i cambiamenti climatici sono una realtà scientifica indiscutibile, come ritenuto dalla quasi totalità degli scienziati, allora non sarà il 30% di budget in meno a cambiare le cose. Se, invece, l’antropogenesi dei cambiamenti climatici è un colossale ed epocale abbaglio, allora non ci sarà alcun danno derivante da un minor impegno economico statunitense.
Né appare catastrofico il recentissimo ordine esecutivo “Energy Independence” con il quale il presidente Trump intende cancellare ogni azione (invero blanda e tardiva (2)) del suo predecessore Obama sulle politiche climatiche.
In fondo, gli Stati Uniti non hanno mai ratificato il Protocollo di Kyoto e, quanto al recente Accordo di Parigi, possono essere legittimamente sollevate ampie perplessità sul carattere vincolante degli obiettivi. Di fatto gli Usa non hanno mai voluto, con nessuna Amministrazione, dovere rendere conto alla comunità internazionale delle loro politiche energetiche e ambientali.
Eppure, gli interessi legati alle fonti rinnovabili, all’efficienza energetica o, più semplicemente, al gas come vettore a minori emissioni sono ormai talmente radicati anche in America che le lobby relative hanno un peso persino maggiore di quelle tradizionalmente legate ai fossili.
Così, ad esempio la stessa Exxon, società da cui proviene il segretario di Stato Rex Tillerson, con una lettera inviata al consigliere per l’energia di Trump, David Banks, ha già invitato l’Amministrazione a restare nel consesso delineato dall’Accordo di Parigi. Il motivo è facile: il gas può contribuire a limitare le emissioni e la Exxon produce gas e non carbone.
Più in generale non preoccupano provvedimenti che sono nella sostanza e negli obiettivi antistorici, perché hanno già in sé il germe del fallimento. Il ricorso al carbone o agli olii combustibili per la generazione elettrica appare ormai solo come una minaccia sempre meno credibile.
L’opinione pubblica europea, americana e cinese ha raggiunto livelli di consapevolezza e rivendicazione del proprio diritto alla salute che il ricorso a questi vettori energetici può essere fatto solo come una disperata difesa industriale, come una base di trattativa utilizzando “materia energetica” economica.
La vera minaccia è la direzione della ricerca Quello che dovrebbe preoccupare veramente non è tanto l’approccio “muscolare”, non sono i fondi persi, ma il modo in cui verranno impiegati i soldi che restano. Se, ad esempio, venissero finanziate solo le ricerche funzionali a dimostrare che l’aumento delle temperature non esiste o facessero carriera o avessero visibilità solo quegli scienziati e quei ricercatori che tentassero di dimostrare che i cambiamenti climatici non dipendono dalle attività umane, allora sì che il pericolo oscurantista della controriforma energetica e ambientale sarebbe davvero minaccioso.
Perché è questo che sul lungo periodo potrebbe effettivamente cambiare la prospettiva. L’informazione internettiana diffusa, pseudo scientifica, magari avvalorata dai nuovi scienziati premiati dalle politiche negazioniste, potrebbero penetrare nella coscienza collettiva, insinuarsi nelle verità utili e nel sentimento comune.
Per una strana legge del mondo la verità è pesante, faticosa, poco attrattiva, il fake facile, immediato, virale e digeribilissimo. Si dirà che non è possibile dimostrare il contrario della Verità. Ebbene, si ricordi che è sempre stato fatto, è sempre stato utile ed economico. In fondo che sia la Terra che gira intorno al Sole o viceversa, potrebbe essere solo un fatto di prospettive relative.
(1) Churchill “Indeed, it has been said that democracy is the worst form of government except all those other forms that have been tried from time to time”. Discorso alla Camera dei Comuni (11 November 1947). (2) https://www.linkedin.com/pulse/tempo-di-proclami-mr-obama-agime-gerbeti.
Agime Gerbeti è docente Lumsa.
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