Energia Europa, una politica energetica di compromesso Nicolò Sartori 30/01/2014 |
L'Unione europea rivede i suoi obiettivi climatici ed energetici. Questo è quanto è emerso la scorsa settimana, quando la Commissione ha presentato una Comunicazione che definisce il quadro per le politiche climatiche ed energetiche al 2030, fissando anche le linee guida per l’azione dell’Ue in materia.
Tra gli elementi principali, l’ulteriore riduzione delle emissioni di gas a effetto serra rispetto all’obiettivo per il 2020, la riforma dell’Emission trading scheme (Ets) - il sistema per lo scambio di quote di emissione di gas serra all’interno della Comunità -, l’aumento del contributo delle rinnovabili al mix energetico europeo e il perfezionamento dei meccanismi di governance e coordinamento delle politiche nazionali.
Sebbene punti a migliorare le attuali performance europee e a rafforzare la leadership globale dell’Unione in materia di energia e sostenibilità, il documento rispecchia l’approccio pragmatico di una Commissione fortemente condizionata dall’attuale congiuntura economica e dalla progressiva perdita di competitività del sistema industriale europeo.
Meno effetto serra, più rinnovabili
La Commissione riconosce i passi avanti fatti dalle politiche energetiche-climatiche dell’Unione e fissa due nuovi obiettivi vincolanti per il futuro. Il primo prevede la riduzione del 40% delle emissioni di gas a effetto serra rispetto ai livelli del 1990, da raggiungere attraverso impegni dei singoli stati membri. Nello specifico, le emissioni dei settori coperti dal sistema Ets dovranno essere ridotte del 43%, mentre quelle dei settori non coperti del 30%, entrambe rispetto ai valori del 2005.
Il secondo obiettivo, relativo alle rinnovabili, prevede che quest’ultime coprano il 27% dei consumi energetici a livello europeo. Contrariamente a quanto previsto per le emissioni, l’obiettivo viene declinato solamente a livello europeo.
L’Ue pertanto, non fisserà target nazionali, lasciando maggiore flessibilità ai singoli stati membri nel definire le proprie traiettorie energetiche. Queste, tenendo conto delle peculiarità di ciascun paese (mix energetico, capacità di generare da rinnovabili), dovrebbero incrementare l’efficienza e la sostenibilità delle singole politiche nazionali.
In generale, i due obiettivi prevedono un’accelerazione - seppur in termini ragionevoli - rispetto alle politiche portate avanti sulla base del pacchetto 20-20-20.
Questo prevede un calo delle emissioni del 20% rispetto ai livelli del 1990; un aumento dell'energia derivante dalle fonti rinnovabili in modo che queste ultimi arrivino a coprire il 20% del fabbisogno energetico interno dell’Ue; una riduzione del 20% del consumo di energia grazie a misure dirette a renderlo più efficiente.
Stando all’attuale traiettoria, infatti, nel 2030 la riduzione delle emissioni si attesterebbe al 32% rispetto al 1990, mentre il contributo delle rinnovabili raggiungerebbe circa il 24% nel mix energetico europeo.
Gli stati membri saranno pertanto chiamati a migliorare le loro performance energetiche senza tuttavia essere obbligati a introdurre misure fortemente distorsive, come avvenuto in molti casi in seguito all’adozione del pacchetto 20-20-20.
La prudenza di Bruxelles è confermata dall’approccio adottato in materia di efficienza energetica. Tenendo in considerazione le difficoltà incontrate nel 2012 per l’adozione della relativa direttiva, e consapevole che l’obiettivo (non vincolante) del 20% per il 2020 non sarà rispettato, la Commissione non ha infatti fissato nessun nuovo target per il 2030. L’intenzione è di aspettare l’esito della valutazione dei risultati ottenuti fino ad oggi, che verrà presentata nel 2014, e in caso proporre modifiche all’attuale legislazione.
Nuovi meccanismi
Partendo dalle difficoltà sperimentate negli ultimi cinque anni, la Commissione si concentra anche sulla ridefinizione dei meccanismi necessari a raggiungere gli obiettivi fissati per il 2030.
In particolare, Bruxelles sembra riconoscere i problemi legati al funzionamento del sistema Ets che, a causa dell’incapacità di adattarsi all’attuale congiuntura economica, ha abbattuto il prezzo del carbonio generando un eccesso di permessi in circolazione di circa due miliardi.
Pur non mettendone in dubbio il ruolo centrale per il raggiungimento degli obiettivi europei in materia di de-carbonizzazione, la Commissione sembra intenzionata ad aggiustare il tiro del sistema Etd, proponendo la creazione di una riserva per la stabilità del mercato. La riserva, che nelle intenzioni della Commissione dovrebbe essere stabilita a partire dal 2021, dovrebbe regolare automaticamente l’immissione di quote nel mercato, nel tentativo di far fronte all’eccedenza di permessi generati negli ultimi anni.
Un altro aspetto importante introdotto dalla comunicazione riguarda il miglioramento della gestione delle politiche nazionali a livello europeo, attraverso la creazione di un nuovo sistema di governance e di una serie di nuovi indicatori per assicurare un sistema energetico competitivo, sostenibile e sicuro. In base al modello pensato dalla Commissione, gli stati membri elaboreranno i loro piani nell’ambito di un approccio comune che garantirà maggiore coordinamento e sorveglianza da parte dell’Ue.
Pragmatismo necessario
La sensazione è che la Commissione sia costretta a operare con le mani legate. Il tema della competitività economico-industriale dell’Europa in questo periodo di crisi e di declino relativo appare troppo importante per essere sacrificato in favore di ambiziose politiche climatiche ed energetiche.
L’assenza di cooperazione internazionale, in vista dei negoziati internazionali per un nuovo accordo mondiale sul clima che si concluderanno a Parigi alla fine del 2015, rende questa esigenza ancora più palese.
In attesa di proposte dettagliate, Bruxelles sembra muoversi con grande circospezione e pragmatismo. Pur senza abbandonare l’ideale di un’Ue paladina globale dello sviluppo sostenibile, la Commissione ha presentato un quadro per il 2030 all’insegna di aggiustamenti incrementali e flessibilità.
Nelle circostanze attuali, infatti, l’Europa non riuscirebbe a sopportare un’altra forzatura come quella introdotta nel 2009 col pacchetto 20-20-20. E di questo, a Bruxelles, sembrano esserne consapevoli.
Nicolò Sartori è ricercatore dell’Area Sicurezza e Difesa dello IAI.
- See more at: http://www.affarinternazionali.it/articolo.asp?ID=2520#sthash.85JylSC3.dpuf
Tra gli elementi principali, l’ulteriore riduzione delle emissioni di gas a effetto serra rispetto all’obiettivo per il 2020, la riforma dell’Emission trading scheme (Ets) - il sistema per lo scambio di quote di emissione di gas serra all’interno della Comunità -, l’aumento del contributo delle rinnovabili al mix energetico europeo e il perfezionamento dei meccanismi di governance e coordinamento delle politiche nazionali.
Sebbene punti a migliorare le attuali performance europee e a rafforzare la leadership globale dell’Unione in materia di energia e sostenibilità, il documento rispecchia l’approccio pragmatico di una Commissione fortemente condizionata dall’attuale congiuntura economica e dalla progressiva perdita di competitività del sistema industriale europeo.
Meno effetto serra, più rinnovabili
La Commissione riconosce i passi avanti fatti dalle politiche energetiche-climatiche dell’Unione e fissa due nuovi obiettivi vincolanti per il futuro. Il primo prevede la riduzione del 40% delle emissioni di gas a effetto serra rispetto ai livelli del 1990, da raggiungere attraverso impegni dei singoli stati membri. Nello specifico, le emissioni dei settori coperti dal sistema Ets dovranno essere ridotte del 43%, mentre quelle dei settori non coperti del 30%, entrambe rispetto ai valori del 2005.
Il secondo obiettivo, relativo alle rinnovabili, prevede che quest’ultime coprano il 27% dei consumi energetici a livello europeo. Contrariamente a quanto previsto per le emissioni, l’obiettivo viene declinato solamente a livello europeo.
L’Ue pertanto, non fisserà target nazionali, lasciando maggiore flessibilità ai singoli stati membri nel definire le proprie traiettorie energetiche. Queste, tenendo conto delle peculiarità di ciascun paese (mix energetico, capacità di generare da rinnovabili), dovrebbero incrementare l’efficienza e la sostenibilità delle singole politiche nazionali.
In generale, i due obiettivi prevedono un’accelerazione - seppur in termini ragionevoli - rispetto alle politiche portate avanti sulla base del pacchetto 20-20-20.
Questo prevede un calo delle emissioni del 20% rispetto ai livelli del 1990; un aumento dell'energia derivante dalle fonti rinnovabili in modo che queste ultimi arrivino a coprire il 20% del fabbisogno energetico interno dell’Ue; una riduzione del 20% del consumo di energia grazie a misure dirette a renderlo più efficiente.
Stando all’attuale traiettoria, infatti, nel 2030 la riduzione delle emissioni si attesterebbe al 32% rispetto al 1990, mentre il contributo delle rinnovabili raggiungerebbe circa il 24% nel mix energetico europeo.
Gli stati membri saranno pertanto chiamati a migliorare le loro performance energetiche senza tuttavia essere obbligati a introdurre misure fortemente distorsive, come avvenuto in molti casi in seguito all’adozione del pacchetto 20-20-20.
La prudenza di Bruxelles è confermata dall’approccio adottato in materia di efficienza energetica. Tenendo in considerazione le difficoltà incontrate nel 2012 per l’adozione della relativa direttiva, e consapevole che l’obiettivo (non vincolante) del 20% per il 2020 non sarà rispettato, la Commissione non ha infatti fissato nessun nuovo target per il 2030. L’intenzione è di aspettare l’esito della valutazione dei risultati ottenuti fino ad oggi, che verrà presentata nel 2014, e in caso proporre modifiche all’attuale legislazione.
Nuovi meccanismi
Partendo dalle difficoltà sperimentate negli ultimi cinque anni, la Commissione si concentra anche sulla ridefinizione dei meccanismi necessari a raggiungere gli obiettivi fissati per il 2030.
In particolare, Bruxelles sembra riconoscere i problemi legati al funzionamento del sistema Ets che, a causa dell’incapacità di adattarsi all’attuale congiuntura economica, ha abbattuto il prezzo del carbonio generando un eccesso di permessi in circolazione di circa due miliardi.
Pur non mettendone in dubbio il ruolo centrale per il raggiungimento degli obiettivi europei in materia di de-carbonizzazione, la Commissione sembra intenzionata ad aggiustare il tiro del sistema Etd, proponendo la creazione di una riserva per la stabilità del mercato. La riserva, che nelle intenzioni della Commissione dovrebbe essere stabilita a partire dal 2021, dovrebbe regolare automaticamente l’immissione di quote nel mercato, nel tentativo di far fronte all’eccedenza di permessi generati negli ultimi anni.
Un altro aspetto importante introdotto dalla comunicazione riguarda il miglioramento della gestione delle politiche nazionali a livello europeo, attraverso la creazione di un nuovo sistema di governance e di una serie di nuovi indicatori per assicurare un sistema energetico competitivo, sostenibile e sicuro. In base al modello pensato dalla Commissione, gli stati membri elaboreranno i loro piani nell’ambito di un approccio comune che garantirà maggiore coordinamento e sorveglianza da parte dell’Ue.
Pragmatismo necessario
La sensazione è che la Commissione sia costretta a operare con le mani legate. Il tema della competitività economico-industriale dell’Europa in questo periodo di crisi e di declino relativo appare troppo importante per essere sacrificato in favore di ambiziose politiche climatiche ed energetiche.
L’assenza di cooperazione internazionale, in vista dei negoziati internazionali per un nuovo accordo mondiale sul clima che si concluderanno a Parigi alla fine del 2015, rende questa esigenza ancora più palese.
In attesa di proposte dettagliate, Bruxelles sembra muoversi con grande circospezione e pragmatismo. Pur senza abbandonare l’ideale di un’Ue paladina globale dello sviluppo sostenibile, la Commissione ha presentato un quadro per il 2030 all’insegna di aggiustamenti incrementali e flessibilità.
Nelle circostanze attuali, infatti, l’Europa non riuscirebbe a sopportare un’altra forzatura come quella introdotta nel 2009 col pacchetto 20-20-20. E di questo, a Bruxelles, sembrano esserne consapevoli.
Nicolò Sartori è ricercatore dell’Area Sicurezza e Difesa dello IAI.
Nessun commento:
Posta un commento