Traduzione

Il presente blog è scritto in Italiano, lingua base. Chi desiderasse tradurre in un altra lingua, può avvalersi della opportunità della funzione di "Traduzione", che è riporta nella pagina in fondo al presente blog.

This blog is written in Italian, a language base. Those who wish to translate into another language, may use the opportunity of the function of "Translation", which is reported in the pages.

Cerca nel blog

lunedì 16 gennaio 2017

Clima. che cosa ci aspettiamo dall'America

L'America di Trump
Effetto Trump su clima ed energia mondiale 
Valeria Termini
15/11/2016
 più piccolopiù grande
L’elezione di Donald Trump avrà un impatto dirompente sullo scenario energetico globale. Le incongruenze del suo programma destano però seri dubbi.

Trump prospetta al contempo “una rivoluzione energetica che trasformerà l’America in un netto esportatore di energia” e una politica protezionista che la allontanerà dai Trattati commerciali internazionali; “la fine del supporto alle fonti rinnovabili”,“la revisione di tutte le regole avverse al carbone” insieme alla promessa di una “migliore protezione dell’aria e dell’ambiente”.

Proposte incompatibili che imporranno scelte necessarie. Dipenderanno anche dalla nuova squadra di governo e stando ai consiglieri oggi in carica -come Michael Catanzaro e M. McKenna, che appartengono alle lobby della petrolchimica e del carbone - è prevedibile che gli obiettivi segneranno una svolta e non saranno in sintonia con gli indirizzi più avanzati per il lungo periodo.

La situazione del mondo in cui Trump si inserisce è caratterizzata da tre elementi chiave.

Trump e la transizione verso le rinnovabili
In primis la transizione energetica verso un uso esteso delle fonti rinnovabili, reso possibile dalla rivoluzione tecno-digitale. Su di essa si sta costruendo il percorso innovativo di una “elettrificazione intelligente e pulita” nell’industria, nei trasporti e nella vita quotidiana; con il potenziale espansivo insito nelle rivoluzioni tecnologiche, ma anche con la “distruzione schumpeteriana” che colpisce le imprese coinvolte dal ridimensionamento delle fonti fossili, cui è richiesto uno sforzo straordinario di riorganizzazione.

Trump è vicino ai grandi industriali dei combustibili fossili, i quali oggi soffrono per la concorrenza delle fonti rinnovabili e per la regolazione ambientale dell’Environmental Protection Agency (l’Epa, resa nota dalla denuncia contro la truffa ambientale della Volkswagen).

Di certo l’Epa entrerà nel mirino del nuovo Presidente - la prima nomina per la transizione dei poteri nell’Epa è Myron Ebell, direttore dell’ufficio studi degli industriali del carbone. A ciò si accompagnano l’abbandono dichiarato del sostegno alle fonti rinnovabili e la fine dell’indirizzo cooperativo e finanziario con la United Nation framework convention on climate change.

Gli Accordi sul Cambiamento Climatico si sono conclusi con successo nei negoziati di COP 21 a Parigi (dicembre 2015) e di essi il patto tra Xi Jin Ping e Barack Obama è parte fondante.

In questi giorni è in corso a Marrakech (7-14 novembre) la COP 22 per consolidare i risultati. È facile prevedere tuttavia che Trump disattenda in parte, in linea al suo programma, gli impegni assunti da Obama - ridurre le emissioni di CO2 statunitensi del 26-28% al 2025 - soprattutto perché l’accordo non prevede sanzioni; è difficile invece immaginare la reazione della Cina, principale inquinatore tra i 200 Paesi firmatari.

Il rischio è che l’Europa si trovi ancora una volta isolata nel sostenere l’onere competitivo di impegni vincolanti assunti unilateralmente (una riduzione di CO2 dell’80% nel 2050 rispetto al 1990), già incorporati nella regolazione europea.

Gas e petrolio nella geopolitica di Trump
Il secondo elemento, in chiave geopolitica è la nuova configurazione dei rapporti tra Paesi produttori e Paesi consumatori di gas e petrolio attivata in questo decennio.

Un eccesso di offerta ha provocato la riduzione del prezzo del gas e il crollo del prezzo del petrolio (oggi quotato 43,5 $/barile, sotto il livello di guardia dei 50 $/barile), destinati a mantenersi bassi nel prossimo orizzonte temporale, poiché l’Opec non è in grado di approvare una politica di quote che limiti la produzione.

Incurante di ciò, Trump propone di autorizzare subito la costruzione del grande oleodotto Keystone XL dal Canada al Golfo del Messico, bloccato perché non conforme agli standard ambientali, per trasportare petrolio da esportare (830 mila barili/g di capacità).

Per il gas, invece, prevedere la politica che Trump imposterà sull’estero con il sostegno di un Congresso favorevole è complesso: è cruciale capire come si svilupperà il suo rapporto con Vladimir Putin.

Trump dovrà scegliere tra due opzioni scomode: privilegiare la via delle esportazioni (Gnl), favorendo così i produttori statunitensi con una riduzione dell’offerta interna di gas che fa lievitare i prezzi, ma scontentando Putin che dovrà fare i conti con la concorrenza Usa sul mercato europeo, suo principale mercato di sbocco; oppure porre vincoli alle esportazioni e concentrare l’offerta sul mercato interno, favorendo così la Russia, ma lasciando in sofferenza i produttori Usa.

L’alternativa sarebbe una spartizione del mercato globale tra i due principali giocatori, il Pacifico agli Stati Uniti e l’Europa alla Russia; ma i mercati reali sono complessi da governare.

L’indipendenza energetica Usa che favorisce Putin
Infine, l’indipendenza energetica Usa, obiettivo primario del programma, consolida la lontananza di Trump dai Paesi produttori del Medio Oriente (se si esclude un possibile rapporto diretto con Benjamin Nethanyau), per il controllo dei quali potrebbe affidare a Putin un ruolo primario.

In cambio potrà impegnarsi con Putin in una politica compiacente nei confronti dei gasdotti che connettono la Russia all’Europa e che sono ancora in stallo perché contrastano con le regole anti monopoliste europee e con la strategia dell’Energy Union di diversificazione delle rotte e delle fonti.

Questi furono fortemente osteggiati dall’amministrazione di Obama, insieme alla Commissione europea, perché volti ad aggirare l’Ucraina nella fornitura di gas russo all’Europa - Nord Stream 2 nel corridoio settentrionale e il Turkish Stream in quello meridionale, rinvigorito dal recente accordo tra Putin e Rcep Tayyp Erdogan sull’energia.

Accordi bilaterali sui gasdotti tra Russia e Paesi membri indeboliscono la Commissione nei confronti del principale monopolista, con il quale Mogherini e il commissario all’energia Maros Sefcovic hanno tentato di costruire un negoziato europeo, superando gli egoismi nazionali.

E Nord Stream2 rappresenta il vulnus peggiore per il nostro Paese e per l’Ue, in quanto concentrerebbe l’offerta del gas russo in Germania (110 mld m3 di capacità), rischiando di rendere superflua la produzione di gas dal Mediterraneo, che coinvolge Italia, Balcani e Paesi meridionali nelle forniture di gas all’Europa.

Per l’Europa il quadro non è dunque positivo in nessuno dei tre domini richiamati. E l’Italia? Il nostro Paese ha un ruolo da giocare, non solo rafforzando infrastrutture e rapporti storici e rinnovati con i Paesi della sponda meridionale del Mediterraneo, ma anche svolgendo una funzione attiva nei Balcani, dove le basi per la cooperazione energetica sono attive e promettenti.

Valeria Termini è Commissario dell’Autorità per l’Energia elettrica, il gas e il Sistema Idrico (Aeegsi); Vice Presidente del Council of European Energy Regulators (Ceer).

martedì 10 gennaio 2017

Turbolenze sul Clima tra Europa e Stati Uniti

L’America di Trump
Usa-Ue: rischio lite sull’ambiente 
Lorenzo Colantoni
07/01/2017
 più piccolopiù grande
La nomina di Rex Tillerson, Ceo di Exxon, come segretario di Stato, quella di Scott Pruitt, un negazionista del cambiamento climatico, a capo dell’Epa, l’agenzia per l’ambiente statunitense, così come la lunga sequela di tweet, dichiarazioni e attacchi all’Accordo di Parigi sul clima sono alcuni degli elementi che inducono a pensare che sarà messo a rischio dall’avvento dell’amministrazione di Donald Trump.

Considerando il ruolo di leadership climatica e ambientale dell’Unione europea, Ue, e le frequenti occasioni di confronto con gli Stati Uniti sul tema, come il Tttip, lo scontro potrebbe sembrare inevitabile.

Tutto questo potrebbe anche andare in maniera differente. La tendenza al protezionismo potrebbe limitare le ingerenze statunitensi in ambito energetico, le minacce portate in campagna elettorale contro la politica climatica potrebbero essere meno consistenti di quanto previsto e il successo nella riduzione delle emissioni potrebbe avvenire più per fattori economici che politici.

Un quadro che, seppur più ottimista di quanto si potrebbe pensare, dovrà affrontare il rischio dell’incertezza che ancora pesa su quello che effettivamente sarà l’amministrazione Trump.

Il futuro dell’Accordo di Parigi
Il settore dove l’elezione di Trump ha suscitato le maggiori preoccupazioni è stato senza dubbio quello del clima, con il neopresidente autore di numerose dichiarazioni in cui sosteneva il suo impegno per far uscire gli Stati Uniti dall’accordo. Cosa simile era già accaduto con George W. Bush e la sua decisione di ritirarsi dal Protocollo di Kyoto.

Trump sembra però aver già cambiato idea. In un’intervista rilasciata il 22 novembre al New York Times riconosceva una “qualche connessione” tra l’attività umana e il cambiamento climatico.

Se queste dichiarazioni potrebbero essere allo stesso modo sconfessate, è però anche difficile pensare che si giunga allo scontro con l’Ue, in quanto climate leader, su un’eventuale opposizione statunitense: la struttura dell’Accordo di Parigi è basata sulle Intended Nationally Determined Contributions, Indcn, proposte che i singoli Paesi fanno per indicare il proprio impegno, ma che non sono soggette a nessuna revisione obbligatoria.

Se l’Accordo di Parigi difficilmente le prenderà in considerazione, potrebbero invece essere sviluppate a livello settoriale: recentemente i paesi membri dell’Icao, l’agenzia dell’Onu per l’aviazione, hanno firmato un importante accordo per la riduzione delle emissioni da trasporto aereo, un tema su cui le compagnie di trasporto internazionali, e soprattutto americane, hanno avversato l’Ue per anni.

L’Imo, l’equivalente marittimo dell’Icao, ha bloccato questa decisione per il momento, ma questo potrebbe cambiare in futuro. Decisioni simili potrebbero essere un terreno di scontro con l’Ue, ma è difficile prevedere come e in che proporzione, proprio per la forte incertezza sia a livello istituzionale, su quale reale impatto queste misure avranno, che dal punto di vista di Trump, la cui politica ambientale internazionale è molto più incerta di quanto minacci a livello domestico.

Più che uno scontro diretto come ai tempi di Kyoto, quello che si può prevedere è una progressiva riduzione di impegno da parte della Casa Bianca.

Effetto Tillerson sullo sfruttamento delle riserve di idrocarburi
La scelta di Tillerson come segretario di Stato aumenta l’attenzione riservata all’energia, ma per comprendere dove questo potrà incrociare il percorso, e le politiche, dell’Ue, bisognerebbe sciogliere dubbi e risolvere contraddizioni inerenti alla politica di Trump sull’energia.

Da un lato compagnie come Exxon sono impegnate non sono negli Stati Uniti, ma in tutto il mondo, incluso, in passato, anche il turbolento Mar cinese meridionale. La presenza di Tillerson potrebbe quindi portare a un maggior impegno statunitense nello sfruttamento delle riserve di idrocarburi mondiali. In particolare in aree come il Mediterraneo orientale, dove l’esplorazione è ancora limitata, le risorse potenzialmente numerose e gli interessi diffusi (la Russia, non a caso, ha recentemente comprato una quota del giacimento egiziano Zohr da Eni).

Si potrebbe addirittura pensare a un’esportazione della shale revolution a livello mondiale, soprattutto in aree come il Sud America, l’Algeria o la Cina, dove le riserve sono le più promettenti, ma l’attività esplorativa ancora minima. Tutto questo però contraddice la politica di non intervento annunciata da Trump; bisognerà quindi vedere la coerenza tra le dichiarazioni e le effettive politiche prese dal presidente e dai suoi collaboratori.

Simile è il destino dell’esportazione di prodotti energetici dagli Stati Uniti all’Europa, soprattutto il gas. Il desiderio del tycoon di sostenere l’industria energetica Usa ha come necessità quella di potenziare le esportazioni, che al momento sono bloccate dal rigido controllo del Congresso.

Questo però contraddice i suoi intenti protezionistici, in particolare la promessa di rendere gli Stati Uniti energeticamente indipendenti; un evento che potrebbe sì accadere, ma con un petrolio e un gas che al Paese probabilmente converrà soprattutto esportare. In tutto questo è difficile pensare ad un’opposizione di qualche genere da parte dell’Ue, neutrale sul fracking e che importa senza limiti il petrolio dalle sabbie catramose canadesi, dall’alto impatto ambientale.

L’ambiente e il commercio
Il settore in cui la presenza di Trump potrebbe aiutare la discussione ambientale tra Europa e Stati Uniti è quello del commercio internazionale. Molti analisti hanno già annunciato la morte del Ttip. Il trattato avrebbe messo forte pressione sulle politiche ambientali europee, creando tensioni tra Stati Uniti ed Ue, ma qualora questo non andasse in porto non ci sarebbe nessun effetto.

Lorenzo Colantoni è Junior Fellow presso lo IAI (Twitter@colanlo).