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martedì 10 gennaio 2017

Turbolenze sul Clima tra Europa e Stati Uniti

L’America di Trump
Usa-Ue: rischio lite sull’ambiente 
Lorenzo Colantoni
07/01/2017
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La nomina di Rex Tillerson, Ceo di Exxon, come segretario di Stato, quella di Scott Pruitt, un negazionista del cambiamento climatico, a capo dell’Epa, l’agenzia per l’ambiente statunitense, così come la lunga sequela di tweet, dichiarazioni e attacchi all’Accordo di Parigi sul clima sono alcuni degli elementi che inducono a pensare che sarà messo a rischio dall’avvento dell’amministrazione di Donald Trump.

Considerando il ruolo di leadership climatica e ambientale dell’Unione europea, Ue, e le frequenti occasioni di confronto con gli Stati Uniti sul tema, come il Tttip, lo scontro potrebbe sembrare inevitabile.

Tutto questo potrebbe anche andare in maniera differente. La tendenza al protezionismo potrebbe limitare le ingerenze statunitensi in ambito energetico, le minacce portate in campagna elettorale contro la politica climatica potrebbero essere meno consistenti di quanto previsto e il successo nella riduzione delle emissioni potrebbe avvenire più per fattori economici che politici.

Un quadro che, seppur più ottimista di quanto si potrebbe pensare, dovrà affrontare il rischio dell’incertezza che ancora pesa su quello che effettivamente sarà l’amministrazione Trump.

Il futuro dell’Accordo di Parigi
Il settore dove l’elezione di Trump ha suscitato le maggiori preoccupazioni è stato senza dubbio quello del clima, con il neopresidente autore di numerose dichiarazioni in cui sosteneva il suo impegno per far uscire gli Stati Uniti dall’accordo. Cosa simile era già accaduto con George W. Bush e la sua decisione di ritirarsi dal Protocollo di Kyoto.

Trump sembra però aver già cambiato idea. In un’intervista rilasciata il 22 novembre al New York Times riconosceva una “qualche connessione” tra l’attività umana e il cambiamento climatico.

Se queste dichiarazioni potrebbero essere allo stesso modo sconfessate, è però anche difficile pensare che si giunga allo scontro con l’Ue, in quanto climate leader, su un’eventuale opposizione statunitense: la struttura dell’Accordo di Parigi è basata sulle Intended Nationally Determined Contributions, Indcn, proposte che i singoli Paesi fanno per indicare il proprio impegno, ma che non sono soggette a nessuna revisione obbligatoria.

Se l’Accordo di Parigi difficilmente le prenderà in considerazione, potrebbero invece essere sviluppate a livello settoriale: recentemente i paesi membri dell’Icao, l’agenzia dell’Onu per l’aviazione, hanno firmato un importante accordo per la riduzione delle emissioni da trasporto aereo, un tema su cui le compagnie di trasporto internazionali, e soprattutto americane, hanno avversato l’Ue per anni.

L’Imo, l’equivalente marittimo dell’Icao, ha bloccato questa decisione per il momento, ma questo potrebbe cambiare in futuro. Decisioni simili potrebbero essere un terreno di scontro con l’Ue, ma è difficile prevedere come e in che proporzione, proprio per la forte incertezza sia a livello istituzionale, su quale reale impatto queste misure avranno, che dal punto di vista di Trump, la cui politica ambientale internazionale è molto più incerta di quanto minacci a livello domestico.

Più che uno scontro diretto come ai tempi di Kyoto, quello che si può prevedere è una progressiva riduzione di impegno da parte della Casa Bianca.

Effetto Tillerson sullo sfruttamento delle riserve di idrocarburi
La scelta di Tillerson come segretario di Stato aumenta l’attenzione riservata all’energia, ma per comprendere dove questo potrà incrociare il percorso, e le politiche, dell’Ue, bisognerebbe sciogliere dubbi e risolvere contraddizioni inerenti alla politica di Trump sull’energia.

Da un lato compagnie come Exxon sono impegnate non sono negli Stati Uniti, ma in tutto il mondo, incluso, in passato, anche il turbolento Mar cinese meridionale. La presenza di Tillerson potrebbe quindi portare a un maggior impegno statunitense nello sfruttamento delle riserve di idrocarburi mondiali. In particolare in aree come il Mediterraneo orientale, dove l’esplorazione è ancora limitata, le risorse potenzialmente numerose e gli interessi diffusi (la Russia, non a caso, ha recentemente comprato una quota del giacimento egiziano Zohr da Eni).

Si potrebbe addirittura pensare a un’esportazione della shale revolution a livello mondiale, soprattutto in aree come il Sud America, l’Algeria o la Cina, dove le riserve sono le più promettenti, ma l’attività esplorativa ancora minima. Tutto questo però contraddice la politica di non intervento annunciata da Trump; bisognerà quindi vedere la coerenza tra le dichiarazioni e le effettive politiche prese dal presidente e dai suoi collaboratori.

Simile è il destino dell’esportazione di prodotti energetici dagli Stati Uniti all’Europa, soprattutto il gas. Il desiderio del tycoon di sostenere l’industria energetica Usa ha come necessità quella di potenziare le esportazioni, che al momento sono bloccate dal rigido controllo del Congresso.

Questo però contraddice i suoi intenti protezionistici, in particolare la promessa di rendere gli Stati Uniti energeticamente indipendenti; un evento che potrebbe sì accadere, ma con un petrolio e un gas che al Paese probabilmente converrà soprattutto esportare. In tutto questo è difficile pensare ad un’opposizione di qualche genere da parte dell’Ue, neutrale sul fracking e che importa senza limiti il petrolio dalle sabbie catramose canadesi, dall’alto impatto ambientale.

L’ambiente e il commercio
Il settore in cui la presenza di Trump potrebbe aiutare la discussione ambientale tra Europa e Stati Uniti è quello del commercio internazionale. Molti analisti hanno già annunciato la morte del Ttip. Il trattato avrebbe messo forte pressione sulle politiche ambientali europee, creando tensioni tra Stati Uniti ed Ue, ma qualora questo non andasse in porto non ci sarebbe nessun effetto.

Lorenzo Colantoni è Junior Fellow presso lo IAI (Twitter@colanlo).

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