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giovedì 30 luglio 2015

Spazio: il problema dei detriti

Un passo necessario
Spazio: Ue apre negoziati su Codice di Condotta
Lucia Marta
27/07/2015
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Al fine di limitare la creazione di detriti spaziali e di rendere possibile nel lungo periodo l’utilizzo delle orbite più a rischio, nel 2008 l’Unione europea (Ue) propose alla comunità internazionale un Codice di Condotta (CoC) sulle attività spaziali.

Sette anni dopo, l’Unione apre l’atteso round di negoziati internazionali per l’adesione: il risultato non è scontato, ma un primo passo - improcrastinabile - sarà compiuto nella giusta direzione.

Il Codice di Condotta: come, quando e perché
In un contesto caratterizzato dal vuoto normativo in tema di sicurezza nello spazio, dall’aumento esponenziale di attori e d’infrastrutture in orbita, e dunque di ‘spazzatura’ e rischi di collisione, l’Ue ha risposto ad una richiesta del Segretariato Generale dell’Onu, adottando nel 2008 un Codice di Condotta (CoC) sulle attività spaziali e proponendolo alla comunità internazionale.

Il Codice contiene essenzialmente misure sul controllo e la mitigazione dei frammenti e misure di trasparenza e fiducia tra gli attori, come le pre-notificazioni o i meccanismi di consultazione.

Non si tratta di uno strumento volto al controllo degli armamenti nello spazio, anche se un riferimento vi è fatto, ma piuttosto di una sorta di manuale di norme di buon comportamento nella condotta di attività spaziali.

Si tratta di un’iniziativa politicamente (e non giuridicamente) vincolante; di origine europea, e non onusiana; e basata su princìpi generali chiave e (a prima vista) condivisibili.

Tali caratteristiche sono considerate da alcuni Paesi come dei vantaggi: il Codice non comporta la necessità di definire precisamente la terminologia, né prevedere meccanismi di verifica; non è sottoposto alla paralisi che subisce la Conferenza per il Disarmo; e favorisce la fiducia reciproca e la trasparenza tra gli attori in difesa di un patrimonio che appartiene all’umanità.

Per altri Paesi, invece, tali caratteristiche creano reticenze e ostacolerebbero l’adesione.

Le principali critiche al Codice di Condotta
Lo scetticismo che alcuni Paesi hanno espresso riguardano in parte il contenuto del Codice, in parte la procedura seguita. Se inizialmente gli Usa erano scettici, le modifiche apportate e il loro conivolgimento diretto hanno infine ottenuto un (timido) sostegno americano.

Russia, Cina, India, Brasile ed altri paesi ‘emergenti’ sembrano più diffidenti; e le ragioni sono varie. Da un lato, il Codice sembra essere percepito come un’alternativa al trattato per il non dispiegamento di armi nello spazio, proposto dai primi due Paesi, e per questo non raccoglie il loro sostegno.

Alcuni Stati sostengono anche che un Codice non giuridicamente vincolante resta inefficace. Inoltre, la sua promozione e il suo negoziato fuori dall’ambito Onu toglierebbe legittimità all’iniziativa e significherebbe per alcuni cedere a un accordo occidentale al quale sono chiamati ad adattarsi senza contribuire in modo determinante alla sua stesura.

La paternità europea, non onusiana, sembra difficile da accettare: lo stesso accadde ad un altro codice di condotta esistente da una decina di anni (Codice dell’Aia, HCoC); e ciò fu qualificato da alcuni esperti come il suo “peccato originale”.

I principi sui quali si basa il Codice sono considerati poi da alcuni attori condivisibili, ma non esaustivi o non espressi adeguatamente. La trasparenza e la fiducia che ne deriverebbe sarebbe quindi limitata e non risulta convincente: peraltro, è evidente per alcuni che i programmi e le infrastrutture al servizio di obiettivi puramente militari resterebbero esclusi da tale trasparenza.

Inoltre, il riferimento (o no) esplicito al diritto all’autodifesa ha causato lunghi dibattiti, temendo creasse una finestra di opportunità - legittima - al dispiegamento di armi.

Infine, altri Paesi temono che i meccanismi e le procedure previste limitino de facto le loro attuali o future attività spaziali, richiedendo processi e tecnologie di cui non dispongono o che sono molto costose o di difficile accesso.

L’Ue pronta a passare dalle consultazioni al negoziato
Tali critiche sono emerse durante i diversi “Open-Ended Consultation Meetings” che hanno avuto luogo in questi anni a Vienna, Kiev, Bangkok e Lussemburgo.

L’Ue ne ha tenuto conto: dal 2008, il testo del Codice ha subito modifiche. Lo scopo era quello di arrivare ad un testo il più accettabile possibile per portarlo poi a una conferenza di negoziato multilaterale durante la quale, come l’Ue spera, la maggior parte dei Paesi spaziali (e non) lo adotteranno e si impegneranno politicamente a rispettarlo.

Tale conferenza avrà luogo dal 27 al 30 luglio di quest’anno a New York. Indipendentemente dal fatto che l’Ue abbia raggiunto un largo consenso, dopo otto anni di lavoro era comunque tempo di concretizzare e passare alla fase di negoziato e di adesione, al fine di rendere credibile lo sforzo diplomatico intrapreso dall’Unione.

Bruxelles corre tuttavia dei rischi: non solo lo scetticismo di fondo di alcuni Stati perdura, ma, essendo il Codice uno strumento diplomatico e volontario, è sulla base delle buone relazioni tra Paesi che il dialogo è possibile e che il Codice sullo spazio può trovare un seguito concreto.

In effetti, se anche lo scetticismo dei maggiori Paesi fosse risolto, se anche un testo accettabile dai più fosse trovato, le tensioni diplomatiche tra Stati rischiano di giocare a sfavore di un’intesa.

Lo spazio, come le relazioni commerciali, potrebbe essere una vittima di tali tensioni. Una volta il Codice sottoscritto, poi, si pone anche la questione di se e come sarà rispettato. L’esperienza del Codice dell’Aia ne è un esempio: anche se di natura totalmente diversa, l’HcoC dimostra come, nonostante le oltre 130 adesioni, se i Paesi chiave non lo sottoscrivono, o non lo applicano, l’iniziativa perde molto del suo valore.

Comunque vada, e anche se non dovesse raccogliere molte adesioni subito, il Codice avrà il merito di mettere sul tavolo dei negoziati una questione essenziale per lo sfruttamento dello spazio da parte delle generazioni future.

Come alcuni analisti hanno scritto, si tratterebbe almeno di un “first step” verso un regime che, nel futuro, potrà essere più robusto, più condiviso e forse un giorno addirittura vincolante. Non c’é più tempo da perdere: l’annuncio di OneWeb, come di altri attori privati, di volere dispiegare centinaia di microsatelliti in orbita bassa entro il 2020 lo conferma drammaticamente.

Lucia Marta è consulente di ricerca in questioni di politica spaziale europea e ricercatore associato della Fondation pour la Recherche Stratégique (FRS, Parigi).
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