Diritto internazionale Acqua, una risorsa non ancora per tutti Carmine Finelli 05/11/2015 |
Una vera e propria crisi idrica. È questa che causa la morte, per sete, di circa un miliardo di persone. E a questi si sommano quanti non hanno accesso ai servizi sanitari di base.
Per tale ragione, oggi, è necessario ragionare sull’esistenza di un diritto umano all’acqua potabile quale strumento giuridico per garantire una migliore allocazione delle risorse idriche nelle zone maggiormente colpite da water-stress.
Nell’ambito del diritto internazionale l’esistenza di un diritto umano all’acqua è ancora molto incerta, ma la prassi delle organizzazioni internazionali rende possibile stabilirne l’eventuale contenuto e gli obblighi da esso derivanti.
Acqua e diritto internazionale
Il diritto umano all’acqua potabile non è un dato incontrovertibile per la dottrina giuridica internazionalistica. Le principali obiezioni riguardano il suo contenuto vago, la sua scarsa rilevanza pratica e l’assenza di strumenti giuridici vincolanti che lo prevedano.
Tuttavia, la mancanza di strumenti giuridici vincolanti per gli Stati che prevedano espressamente l’accesso all’acqua potabile non è di per sé un ostacolo alla sua affermazione come norma di diritto internazionale.
Gran parte della dottrina, infatti, ritiene che esso possa derivarsi da altri diritti e in particolare dall’articolo 6 del Patto delle Nazioni Unite sui Diritti Civili e Politici del 1966, riguardante il diritto alla vita, e degli articoli 11 e 12 del Patto delle Nazioni Unite sui Diritti Economici, Sociali e Culturali, concernenti rispettivamente il diritto ad un livello di vita adeguato e il diritto alla salute.
Tutti questi diritti trovano un elemento comune nella presenza e nella disponibilità d’acqua che diviene un elemento centrale per la loro realizzazione. Senza disponibilità di fonti di acqua potabile la vita stessa sarebbe in pericolo e non sarebbe possibile avere un’esistenza adeguata alla dignità umana. La salute, infine, dipende anche da una corretta igiene per la quale la presenza dell’acqua è necessaria.
Per questo motivo, tali diritti potrebbero essere ritenuti generatori di un nuovo diritto, il quale avrebbe una portata più generale di ognuno di questi diritti presi singolarmente. Ciò si spiega alla luce del fatto che il diritto all’acqua è propedeutico alla realizzazione dei diritti dai quali è derivato, nel senso che la mancanza della risorsa idrica ne metterebbe a repentaglio l’applicabilità.
Seppure il diritto umano all’acqua sarebbe derivato, esso sarebbe logicamente precedente ai diritti dai quale discende, essendo l’acqua l’elemento che permette di realizzarli. Partendo da queste considerazioni, il Comitato per Diritti Economici, Sociali e Culturali ha emanato nel 2002 il General Comment n. 15: The Right to Water nel quale si specifica per la prima volta il contenuto e gli obblighi derivanti dal diritto all’acqua.
Il General Comment n. 15
Il General Comment n.15 è il documento più importante per il riconoscimento del diritto umano all’acqua.
Anche se si tratta di un documento interpretativo di soft law, esso è comunque sintomo di una prassi in costante sviluppo da parte delle Organizzazioni Internazionali, e in particolare dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, che trova il suo punto massimo nella risoluzione dell’Assemblea Generale A/RES/64/292 del 10 luglio 2010 e nella risoluzione dello Human Right Council A/HRC/RES/21/2 approvata nell’ottobre del 2012.
Il General Comment n.15 sancisce l’esistenza del diritto umano all’acqua come derivazione dei diritti stabiliti dagli articoli 11 e 12 del Patto sui Diritti Eonomici, Sociali e Culturali e prevede che questo deve garantire l’accessibilità fisica ed economica alla risorsa, la sua qualità e il suo utilizzo per usi domestici.
Il General Comment impone anche delle core obligations per le parti del Patto. Tali obblighi riguardano la rimozione di ogni barriera all’accesso a fonti di acqua potabile, l’attuazione di politiche volte a preservare le risorse idriche e a mantenerne invariata la qualità, l’obbligo di cooperazione tra le parti per favorire una distribuzione efficiente delle risorse idriche.
Particolare menzione merita, invece, l’obbligo di non discriminazione, poiché si tratta di un punto fondamentale nella prassi relativa ai diritti umani e assume rilevanza anche per il diritto umano all’acqua dato che esso tutela tutti i gruppi sociali ed etnici che in seguito a conflitti politici subiscono la privazione di fonti di approvvigionamento idrico.
Diritto umano all’acqua ancora molto lontano
Ciononostante, la reticenza degli Stati a derogare parte della propria sovranità sulle proprie risorse naturali resta l’ostacolo maggiore ad un pieno riconoscimento di un diritto umano all’acqua. D’altro canto, la prassi internazionale sembra affermarlo come dato giuridico già acquisito e quindi sembra aumentare i propri sforzi per una sua piena attuazione.
Al momento attuale non esiste una norma internazionale (né pattizia, né consuetudinaria) che sancisca il diritto umano all’acqua e per questo le manifestazioni della prassi internazionale hanno una fondamentale importanza per segnalare l’orientamento della comunità internazionale verso la sua applicazione.
Inoltre, prassi e opinio iuris costituiscono elementi fondamentali delle norme internazionali consuetudinarie. Tanto più si riuscirà ad estendere la convinzione che il diritto umano all’acqua è giuridicamente vincolante per i membri della comunità internazionale tanto più l’applicazione di tale diritto da parte dei singoli Stati risponderà effettivamente ad una norma specifica dell’ordinamento internazionale divenendo così norma fondamentale del diritto internazionale.
Carmine Finelli è Dottorando di Ricerca presso l’Università degli Studi del Molise e Presidente della Young Professionals in Foreign Policy, Roma.
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Nell’ambito del diritto internazionale l’esistenza di un diritto umano all’acqua è ancora molto incerta, ma la prassi delle organizzazioni internazionali rende possibile stabilirne l’eventuale contenuto e gli obblighi da esso derivanti.
Acqua e diritto internazionale
Il diritto umano all’acqua potabile non è un dato incontrovertibile per la dottrina giuridica internazionalistica. Le principali obiezioni riguardano il suo contenuto vago, la sua scarsa rilevanza pratica e l’assenza di strumenti giuridici vincolanti che lo prevedano.
Tuttavia, la mancanza di strumenti giuridici vincolanti per gli Stati che prevedano espressamente l’accesso all’acqua potabile non è di per sé un ostacolo alla sua affermazione come norma di diritto internazionale.
Gran parte della dottrina, infatti, ritiene che esso possa derivarsi da altri diritti e in particolare dall’articolo 6 del Patto delle Nazioni Unite sui Diritti Civili e Politici del 1966, riguardante il diritto alla vita, e degli articoli 11 e 12 del Patto delle Nazioni Unite sui Diritti Economici, Sociali e Culturali, concernenti rispettivamente il diritto ad un livello di vita adeguato e il diritto alla salute.
Tutti questi diritti trovano un elemento comune nella presenza e nella disponibilità d’acqua che diviene un elemento centrale per la loro realizzazione. Senza disponibilità di fonti di acqua potabile la vita stessa sarebbe in pericolo e non sarebbe possibile avere un’esistenza adeguata alla dignità umana. La salute, infine, dipende anche da una corretta igiene per la quale la presenza dell’acqua è necessaria.
Per questo motivo, tali diritti potrebbero essere ritenuti generatori di un nuovo diritto, il quale avrebbe una portata più generale di ognuno di questi diritti presi singolarmente. Ciò si spiega alla luce del fatto che il diritto all’acqua è propedeutico alla realizzazione dei diritti dai quali è derivato, nel senso che la mancanza della risorsa idrica ne metterebbe a repentaglio l’applicabilità.
Seppure il diritto umano all’acqua sarebbe derivato, esso sarebbe logicamente precedente ai diritti dai quale discende, essendo l’acqua l’elemento che permette di realizzarli. Partendo da queste considerazioni, il Comitato per Diritti Economici, Sociali e Culturali ha emanato nel 2002 il General Comment n. 15: The Right to Water nel quale si specifica per la prima volta il contenuto e gli obblighi derivanti dal diritto all’acqua.
Il General Comment n. 15
Il General Comment n.15 è il documento più importante per il riconoscimento del diritto umano all’acqua.
Anche se si tratta di un documento interpretativo di soft law, esso è comunque sintomo di una prassi in costante sviluppo da parte delle Organizzazioni Internazionali, e in particolare dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, che trova il suo punto massimo nella risoluzione dell’Assemblea Generale A/RES/64/292 del 10 luglio 2010 e nella risoluzione dello Human Right Council A/HRC/RES/21/2 approvata nell’ottobre del 2012.
Il General Comment n.15 sancisce l’esistenza del diritto umano all’acqua come derivazione dei diritti stabiliti dagli articoli 11 e 12 del Patto sui Diritti Eonomici, Sociali e Culturali e prevede che questo deve garantire l’accessibilità fisica ed economica alla risorsa, la sua qualità e il suo utilizzo per usi domestici.
Il General Comment impone anche delle core obligations per le parti del Patto. Tali obblighi riguardano la rimozione di ogni barriera all’accesso a fonti di acqua potabile, l’attuazione di politiche volte a preservare le risorse idriche e a mantenerne invariata la qualità, l’obbligo di cooperazione tra le parti per favorire una distribuzione efficiente delle risorse idriche.
Particolare menzione merita, invece, l’obbligo di non discriminazione, poiché si tratta di un punto fondamentale nella prassi relativa ai diritti umani e assume rilevanza anche per il diritto umano all’acqua dato che esso tutela tutti i gruppi sociali ed etnici che in seguito a conflitti politici subiscono la privazione di fonti di approvvigionamento idrico.
Diritto umano all’acqua ancora molto lontano
Ciononostante, la reticenza degli Stati a derogare parte della propria sovranità sulle proprie risorse naturali resta l’ostacolo maggiore ad un pieno riconoscimento di un diritto umano all’acqua. D’altro canto, la prassi internazionale sembra affermarlo come dato giuridico già acquisito e quindi sembra aumentare i propri sforzi per una sua piena attuazione.
Al momento attuale non esiste una norma internazionale (né pattizia, né consuetudinaria) che sancisca il diritto umano all’acqua e per questo le manifestazioni della prassi internazionale hanno una fondamentale importanza per segnalare l’orientamento della comunità internazionale verso la sua applicazione.
Inoltre, prassi e opinio iuris costituiscono elementi fondamentali delle norme internazionali consuetudinarie. Tanto più si riuscirà ad estendere la convinzione che il diritto umano all’acqua è giuridicamente vincolante per i membri della comunità internazionale tanto più l’applicazione di tale diritto da parte dei singoli Stati risponderà effettivamente ad una norma specifica dell’ordinamento internazionale divenendo così norma fondamentale del diritto internazionale.
Carmine Finelli è Dottorando di Ricerca presso l’Università degli Studi del Molise e Presidente della Young Professionals in Foreign Policy, Roma.
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