Europa e terrore Enzo Maria Le Fevre Cervini, Alberto Aspidi 18/04/2016 |
Il Consiglio Affari Esteri del 18-19 aprile discute, tra gli altri argomenti, il Quadro comune per il contrasto delle minacce ibride.
In particolare, i ministri degli Esteri dei 28 devono fare i conti con la necessità di un’azione rapida per il contrasto e la prevenzione delle minacce ibride, poste da attori statali e non statali contro l’Unione, i suoi Stati membri e gli Stati partner.
Sebbene la definizione di minaccia ibrida sia quella di una minaccia “mutevole e necessariamente flessibile”, la Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento, pubblicata lo scorso 6 aprile, descrive tali minacce come la “combinazione di attività coercitive e sovversive, metodi convenzionali e non (siano essi diplomatici, militari, economici, tecnologici), che possono essere utilizzate in modo coordinato da attori statali e non statali al fine di ottenere obiettivi specifici, restando però al di sotto della soglia della guerra formalmente dichiarata”.
La sfida di dover andare oltre le definizioni
La definizione di minaccia ibrida - o, meglio, il riconoscimento dell'assenza di essa - è il primo punto degno di nota della Comunicazione. Si aggiunge la mancanza di qualsiasi esempio concreto.
Eppure, il ritorno del concetto di hybrid warfare nei documenti strategici " che contano" è avvenuto, ad opera soprattutto della Nato, proprio a fronte delle azioni di attori ben definiti: la Russia di Putin, nel contesto della crisi ucraina, e l’attività di destabilizzazione, all’interno come all’esterno degli stati membri, da parte del Daesh o di individui ad esso legati.
Negli ultimi mesi, all’interno dell’Unione, l’attività di propaganda e proselitismo tesa a radicalizzare individui e le azioni terroristiche, a cui il Daesh viene più o meno direttamente associato, sono le minacce ibride per eccellenza.
La struttura e gli obiettivi della Comunicazione ne risentono: molte delle azioni proposte sono concepite pensando alla prevenzione ed alla risposta ad un attacco terroristico.
Ciò non deve tuttavia distrarre dal fine ultimo del documento, che è di carattere strategico e guarda al medio-lungo periodo. La questione non è da chi provengano le minacce. L'assunto di fondo è piuttosto che attacchi ibridi potrebbero arrivare in qualsiasi momento da nuovi attori, statali e non, nel prossimo futuro.
Definire un quadro comune e coordinato per la prevenzione e la risposta a questi eventi, indipendentemente dalla provenienza e dal "nemico", è l'obiettivo della Comunicazione.
L’Hybrid Fusion Cell e la raccolta d’informazioni
In questo quadro, quali le proposte specifiche di maggior rilievo? Qui una preliminare precisazione è d'obbligo: la Comunicazione è un documento che la Commissione adotta per esprimere una propria posizione su questioni di attualità, stimolando gli Stati membri al dibattito. Di conseguenza, saranno gli Stati membri, che sono e restano gli unici responsabili in materia di sicurezza e difesa, a decidere a quali tra le azioni proposte dare un seguito.
Due sono le proposte avanzate che possono ritenersi di particolare interesse e valore innovativo a livello istituzionale.
La prima è l'istituzione di una Hybrid Fusion Cell presso l'Intelligence and Situation Center del Servizio europeo di azione esterna. La proposta, voluta dall'Alto rappresentante Federica Mogherini, è ambiziosa: essa mira a catalizzare attorno ad uno stesso obiettivo la raccolta di informazioni dell’intelligence per prevenire e rispondere alle minacce ibride, sfruttando le strutture e le capacità dell'Unione e quelle dei singoli stati membri.
La stessa Mogherini, alcuni giorni fa, durante la plenaria del Parlamento europeo, ha affermato che “in un mondo di prevedibili imprevedibilità, il sistema internazionale non necessità di conservatorismo, ma di cambiamento”. Il cambiamento prevede maggiore collaborazione a livello regionale, così come auspicato anche nel Piano d'azione per prevenire l'estremismo violento promosso dal Segretario generale delle Nazioni Unite all’inizio del 2016.
Realizzare tale progetto non sarà semplice, almeno per due ordini di motivi. Il primo è la varietà degli attori interni all'Unione coinvolti: tra loro le istituzioni incaricate del crisis management esterno, della pianificazione strategica (lo Stato Maggiore europeo e il Crisis Management and Planning Directorate - Cmpd), la DG Echo, in carica per le attività di affari umanitari e protezione civile, l'unità gestione crisi di DG Home, e poi ancora, le DG Move ed Energy, in caso di minacce di attacchi ad infrastrutture critiche.
Il piano B: un Centro di eccellenza
Altra questione riguarda la riluttanza degli Stati membri, specie dei “grandi”, a condividere informazioni classificate riguardanti materie di sicurezza nazionale. La Commissione sembra prefigurarsi tale evenienza già nella Comunicazione, proponendo un possibile “piano B”: la ripresa del modello Centro di Eccellenza che dovrebbe avere l’obiettivo di far progredire la ricerca e promuovere l'individuazione di soluzioni pratiche alle sfide attuali poste da minacce ibride.
Questo modello di collaborazione tra attori istituzionali, organi e agenzie interni all'Unione, stati terzi, organizzazioni internazionali e soggetti esterni (privati, aziende, università) è già presente sia in ambito Nato che in ambito Ue, dove particolare successo ha riscosso nel settore della difesa chimica, biologica, radiologica e nucleare (Cbrn).
Sua caratteristica principale è l'approccio bottom-up e di carattere volontario: sono gli attori coinvolti (stati in primis) che identificano le priorità di azione ed i progetti da perseguire: l'Unione fornisce il proprio supporto, eventualmente le proprie risorse, ma non "dirige" il processo.
Un approccio che, in un settore delicato come la sicurezza in generale e la gestione delle minacce ibride in particolare, non può non essere guardato con favore da Stati membri "gelosi" ma consapevoli che un'azione comune maggiormente efficace è necessaria, specie dopo gli eventi di Parigi e Bruxelles.
In definitiva, si può certamente dire che, con la Comunicazione, il processo di riflessione strategica dell’Unione europea sul contrasto alle minacce ibride è iniziato. Tuttavia, il destino concreto di queste proposte e l'effettiva realizzazione di esse, primo test circa l'esistenza di una volontà politica di dare seguito alle proposte in oggetto, resta saldamente nelle mani degli Stati.
Enzo Maria Le Fevre Cervini è Direttore per la Ricerca e Cooperazione presso il Budapest Centre for the International Prevention of Genocide and Mass Atrocities e docente di diritto internazionale e diplomazia presso la Luiss Guido Carli.
Alberto Aspidi è cultore della materia presso la cattedra di diritto internazionale alla Luiss Guido Carli e Assistente di ricerca presso il Budapest Centre for the International Prevention of Genocide and Mass Atrocities.
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Sebbene la definizione di minaccia ibrida sia quella di una minaccia “mutevole e necessariamente flessibile”, la Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento, pubblicata lo scorso 6 aprile, descrive tali minacce come la “combinazione di attività coercitive e sovversive, metodi convenzionali e non (siano essi diplomatici, militari, economici, tecnologici), che possono essere utilizzate in modo coordinato da attori statali e non statali al fine di ottenere obiettivi specifici, restando però al di sotto della soglia della guerra formalmente dichiarata”.
La sfida di dover andare oltre le definizioni
La definizione di minaccia ibrida - o, meglio, il riconoscimento dell'assenza di essa - è il primo punto degno di nota della Comunicazione. Si aggiunge la mancanza di qualsiasi esempio concreto.
Eppure, il ritorno del concetto di hybrid warfare nei documenti strategici " che contano" è avvenuto, ad opera soprattutto della Nato, proprio a fronte delle azioni di attori ben definiti: la Russia di Putin, nel contesto della crisi ucraina, e l’attività di destabilizzazione, all’interno come all’esterno degli stati membri, da parte del Daesh o di individui ad esso legati.
Negli ultimi mesi, all’interno dell’Unione, l’attività di propaganda e proselitismo tesa a radicalizzare individui e le azioni terroristiche, a cui il Daesh viene più o meno direttamente associato, sono le minacce ibride per eccellenza.
La struttura e gli obiettivi della Comunicazione ne risentono: molte delle azioni proposte sono concepite pensando alla prevenzione ed alla risposta ad un attacco terroristico.
Ciò non deve tuttavia distrarre dal fine ultimo del documento, che è di carattere strategico e guarda al medio-lungo periodo. La questione non è da chi provengano le minacce. L'assunto di fondo è piuttosto che attacchi ibridi potrebbero arrivare in qualsiasi momento da nuovi attori, statali e non, nel prossimo futuro.
Definire un quadro comune e coordinato per la prevenzione e la risposta a questi eventi, indipendentemente dalla provenienza e dal "nemico", è l'obiettivo della Comunicazione.
L’Hybrid Fusion Cell e la raccolta d’informazioni
In questo quadro, quali le proposte specifiche di maggior rilievo? Qui una preliminare precisazione è d'obbligo: la Comunicazione è un documento che la Commissione adotta per esprimere una propria posizione su questioni di attualità, stimolando gli Stati membri al dibattito. Di conseguenza, saranno gli Stati membri, che sono e restano gli unici responsabili in materia di sicurezza e difesa, a decidere a quali tra le azioni proposte dare un seguito.
Due sono le proposte avanzate che possono ritenersi di particolare interesse e valore innovativo a livello istituzionale.
La prima è l'istituzione di una Hybrid Fusion Cell presso l'Intelligence and Situation Center del Servizio europeo di azione esterna. La proposta, voluta dall'Alto rappresentante Federica Mogherini, è ambiziosa: essa mira a catalizzare attorno ad uno stesso obiettivo la raccolta di informazioni dell’intelligence per prevenire e rispondere alle minacce ibride, sfruttando le strutture e le capacità dell'Unione e quelle dei singoli stati membri.
La stessa Mogherini, alcuni giorni fa, durante la plenaria del Parlamento europeo, ha affermato che “in un mondo di prevedibili imprevedibilità, il sistema internazionale non necessità di conservatorismo, ma di cambiamento”. Il cambiamento prevede maggiore collaborazione a livello regionale, così come auspicato anche nel Piano d'azione per prevenire l'estremismo violento promosso dal Segretario generale delle Nazioni Unite all’inizio del 2016.
Realizzare tale progetto non sarà semplice, almeno per due ordini di motivi. Il primo è la varietà degli attori interni all'Unione coinvolti: tra loro le istituzioni incaricate del crisis management esterno, della pianificazione strategica (lo Stato Maggiore europeo e il Crisis Management and Planning Directorate - Cmpd), la DG Echo, in carica per le attività di affari umanitari e protezione civile, l'unità gestione crisi di DG Home, e poi ancora, le DG Move ed Energy, in caso di minacce di attacchi ad infrastrutture critiche.
Il piano B: un Centro di eccellenza
Altra questione riguarda la riluttanza degli Stati membri, specie dei “grandi”, a condividere informazioni classificate riguardanti materie di sicurezza nazionale. La Commissione sembra prefigurarsi tale evenienza già nella Comunicazione, proponendo un possibile “piano B”: la ripresa del modello Centro di Eccellenza che dovrebbe avere l’obiettivo di far progredire la ricerca e promuovere l'individuazione di soluzioni pratiche alle sfide attuali poste da minacce ibride.
Questo modello di collaborazione tra attori istituzionali, organi e agenzie interni all'Unione, stati terzi, organizzazioni internazionali e soggetti esterni (privati, aziende, università) è già presente sia in ambito Nato che in ambito Ue, dove particolare successo ha riscosso nel settore della difesa chimica, biologica, radiologica e nucleare (Cbrn).
Sua caratteristica principale è l'approccio bottom-up e di carattere volontario: sono gli attori coinvolti (stati in primis) che identificano le priorità di azione ed i progetti da perseguire: l'Unione fornisce il proprio supporto, eventualmente le proprie risorse, ma non "dirige" il processo.
Un approccio che, in un settore delicato come la sicurezza in generale e la gestione delle minacce ibride in particolare, non può non essere guardato con favore da Stati membri "gelosi" ma consapevoli che un'azione comune maggiormente efficace è necessaria, specie dopo gli eventi di Parigi e Bruxelles.
In definitiva, si può certamente dire che, con la Comunicazione, il processo di riflessione strategica dell’Unione europea sul contrasto alle minacce ibride è iniziato. Tuttavia, il destino concreto di queste proposte e l'effettiva realizzazione di esse, primo test circa l'esistenza di una volontà politica di dare seguito alle proposte in oggetto, resta saldamente nelle mani degli Stati.
Enzo Maria Le Fevre Cervini è Direttore per la Ricerca e Cooperazione presso il Budapest Centre for the International Prevention of Genocide and Mass Atrocities e docente di diritto internazionale e diplomazia presso la Luiss Guido Carli.
Alberto Aspidi è cultore della materia presso la cattedra di diritto internazionale alla Luiss Guido Carli e Assistente di ricerca presso il Budapest Centre for the International Prevention of Genocide and Mass Atrocities.
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