L’elezione di Donald Trump avrà un impatto dirompente sullo scenario energetico globale. Le incongruenze del suo programma destano però seri dubbi.
Trump prospetta al contempo “una rivoluzione energetica che trasformerà l’America in un netto esportatore di energia” e una politica protezionista che la allontanerà dai Trattati commerciali internazionali; “la fine del supporto alle fonti rinnovabili”,“la revisione di tutte le regole avverse al carbone” insieme alla promessa di una “migliore protezione dell’aria e dell’ambiente”.
Proposte incompatibili che imporranno scelte necessarie. Dipenderanno anche dalla nuova squadra di governo e stando ai consiglieri oggi in carica -come Michael Catanzaro e M. McKenna, che appartengono alle lobby della petrolchimica e del carbone - è prevedibile che gli obiettivi segneranno una svolta e non saranno in sintonia con gli indirizzi più avanzati per il lungo periodo.
La situazione del mondo in cui Trump si inserisce è caratterizzata da tre elementi chiave.
Trump e la transizione verso le rinnovabili In primis la transizione energetica verso un uso esteso delle fonti rinnovabili, reso possibile dalla rivoluzione tecno-digitale. Su di essa si sta costruendo il percorso innovativo di una “elettrificazione intelligente e pulita” nell’industria, nei trasporti e nella vita quotidiana; con il potenziale espansivo insito nelle rivoluzioni tecnologiche, ma anche con la “distruzione schumpeteriana” che colpisce le imprese coinvolte dal ridimensionamento delle fonti fossili, cui è richiesto uno sforzo straordinario di riorganizzazione.
Trump è vicino ai grandi industriali dei combustibili fossili, i quali oggi soffrono per la concorrenza delle fonti rinnovabili e per la regolazione ambientale dell’Environmental Protection Agency (l’Epa, resa nota dalla denuncia contro la truffa ambientale della Volkswagen).
Di certo l’Epa entrerà nel mirino del nuovo Presidente - la prima nomina per la transizione dei poteri nell’Epa è Myron Ebell, direttore dell’ufficio studi degli industriali del carbone. A ciò si accompagnano l’abbandono dichiarato del sostegno alle fonti rinnovabili e la fine dell’indirizzo cooperativo e finanziario con la United Nation framework convention on climate change.
Gli Accordi sul Cambiamento Climatico si sono conclusi con successo nei negoziati di COP 21 a Parigi (dicembre 2015) e di essi il patto tra Xi Jin Ping e Barack Obama è parte fondante.
In questi giorni è in corso a Marrakech (7-14 novembre) la COP 22 per consolidare i risultati. È facile prevedere tuttavia che Trump disattenda in parte, in linea al suo programma, gli impegni assunti da Obama - ridurre le emissioni di CO2 statunitensi del 26-28% al 2025 - soprattutto perché l’accordo non prevede sanzioni; è difficile invece immaginare la reazione della Cina, principale inquinatore tra i 200 Paesi firmatari.
Il rischio è che l’Europa si trovi ancora una volta isolata nel sostenere l’onere competitivo di impegni vincolanti assunti unilateralmente (una riduzione di CO2 dell’80% nel 2050 rispetto al 1990), già incorporati nella regolazione europea.
Gas e petrolio nella geopolitica di Trump Il secondo elemento, in chiave geopolitica è la nuova configurazione dei rapporti tra Paesi produttori e Paesi consumatori di gas e petrolio attivata in questo decennio.
Un eccesso di offerta ha provocato la riduzione del prezzo del gas e il crollo del prezzo del petrolio (oggi quotato 43,5 $/barile, sotto il livello di guardia dei 50 $/barile), destinati a mantenersi bassi nel prossimo orizzonte temporale, poiché l’Opec non è in grado di approvare una politica di quote che limiti la produzione.
Incurante di ciò, Trump propone di autorizzare subito la costruzione del grande oleodotto Keystone XL dal Canada al Golfo del Messico, bloccato perché non conforme agli standard ambientali, per trasportare petrolio da esportare (830 mila barili/g di capacità).
Per il gas, invece, prevedere la politica che Trump imposterà sull’estero con il sostegno di un Congresso favorevole è complesso: è cruciale capire come si svilupperà il suo rapporto con Vladimir Putin.
Trump dovrà scegliere tra due opzioni scomode: privilegiare la via delle esportazioni (Gnl), favorendo così i produttori statunitensi con una riduzione dell’offerta interna di gas che fa lievitare i prezzi, ma scontentando Putin che dovrà fare i conti con la concorrenza Usa sul mercato europeo, suo principale mercato di sbocco; oppure porre vincoli alle esportazioni e concentrare l’offerta sul mercato interno, favorendo così la Russia, ma lasciando in sofferenza i produttori Usa.
L’alternativa sarebbe una spartizione del mercato globale tra i due principali giocatori, il Pacifico agli Stati Uniti e l’Europa alla Russia; ma i mercati reali sono complessi da governare.
L’indipendenza energetica Usa che favorisce Putin Infine, l’indipendenza energetica Usa, obiettivo primario del programma, consolida la lontananza di Trump dai Paesi produttori del Medio Oriente (se si esclude un possibile rapporto diretto con Benjamin Nethanyau), per il controllo dei quali potrebbe affidare a Putin un ruolo primario.
In cambio potrà impegnarsi con Putin in una politica compiacente nei confronti dei gasdotti che connettono la Russia all’Europa e che sono ancora in stallo perché contrastano con le regole anti monopoliste europee e con la strategia dell’Energy Union di diversificazione delle rotte e delle fonti.
Questi furono fortemente osteggiati dall’amministrazione di Obama, insieme alla Commissione europea, perché volti ad aggirare l’Ucraina nella fornitura di gas russo all’Europa - Nord Stream 2 nel corridoio settentrionale e il Turkish Stream in quello meridionale, rinvigorito dal recente accordo tra Putin e Rcep Tayyp Erdogan sull’energia.
Accordi bilaterali sui gasdotti tra Russia e Paesi membri indeboliscono la Commissione nei confronti del principale monopolista, con il quale Mogherini e il commissario all’energia Maros Sefcovic hanno tentato di costruire un negoziato europeo, superando gli egoismi nazionali.
E Nord Stream2 rappresenta il vulnus peggiore per il nostro Paese e per l’Ue, in quanto concentrerebbe l’offerta del gas russo in Germania (110 mld m3 di capacità), rischiando di rendere superflua la produzione di gas dal Mediterraneo, che coinvolge Italia, Balcani e Paesi meridionali nelle forniture di gas all’Europa.
Per l’Europa il quadro non è dunque positivo in nessuno dei tre domini richiamati. E l’Italia? Il nostro Paese ha un ruolo da giocare, non solo rafforzando infrastrutture e rapporti storici e rinnovati con i Paesi della sponda meridionale del Mediterraneo, ma anche svolgendo una funzione attiva nei Balcani, dove le basi per la cooperazione energetica sono attive e promettenti.
Valeria Termini è Commissario dell’Autorità per l’Energia elettrica, il gas e il Sistema Idrico (Aeegsi); Vice Presidente del Council of European Energy Regulators (Ceer).
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