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Attualmente sono in molti a pensare che gli impegni presi durante la COP21 non bastino a limitare gli effetti più dannosi e irreversibili del cambiamento climatico, una preoccupazione di particolare rilevanza date le temperature record registrate l’anno scorso. In un momento di grandi incertezze riguardo al futuro dell’Accordo di Parigi, suscitate dalla nuova Amministrazione americana, sono più che mai necessarie politiche ambientali forti.
Durante la seduta plenaria del Parlamento europeo di Strasburgo del 15 febbraio è stata approvata una riforma importante del sistema per lo scambio di quote di emissioni in Europa (European Union EmissionsTrading System, ETS). La revisione dello schema, proposta dalla Commissione europea nel 2015, dimostra la forte volontà politica dell’Unione europea, Ue di andare avanti nella lotta al riscaldamento del pianeta. L’Europa in prima linea nell’azione climatica L’Ue, nonostante le crisi che sta attraversando, come quella dei migranti o la vicenda della Brexit, negli ultimi anni ha saputo sviluppare un’agenda climatica ambiziosa, confermando la sua leadership mondiale. Ciò è stato reso possibile da una forte presenza istituzionale sulle sfide ambientali, ma anche grazie a partiti ecologisti influenti, un’opinione pubblica favorevole e organizzazioni non governative molto attive. Di recente la Commissione europea ha presentato un pacchetto legislativo per stimolare la transizione e la modernizzazione dell’infrastruttura energetica dell’Unione. Tra gli obiettivi principali della propostavi è quello di privilegiare le energie rinnovabili, garantendo però la sicurezza dell’approvvigionamento elettrico e condizioni di accesso alla rete eque per tutti i consumatori, tutelando quelli più vulnerabili. Il pacchetto si iscrive nel progetto dell’Unione dell’Energia, una componente chiave del programma politico del presidente Juncker, il cui scopo è di collegare ulteriormente i mercati energetici degli Stati membri, incoraggiando questi ultimi a collaborare ed aiutarsi reciprocamente. Se, per esempio, le economie più grandi,come Francia o Germania, decidessero di aumentare gli aiuti finanziari ai Paesi dell’Europea dell’Est, questi potrebbero a loro volta accettare di chiudere le loro centrali a gas o a carbone più inquinanti. Il fine ultimo è di cambiare l’intero sistema energetico europeo, sostituendo il tradizionale modello nazionale - centralizzato e basato sui combustibili fossili - con uno più decentrato, dinamico e sostenibile. Istituito nel 2005, l’ETS è la pietra angolare della politica climatica europea ed è la prima struttura di questo genere, oltre che la più estesa (tratta infatti oltre tre quarti degli scambi internazionali di CO2). Il sistema limita il volume di gas ad effetto serra che può essere emesso da certe industrie e opera secondo principi commerciali: le imprese ricevono o acquistano quote di emissioni (crediti) che possono poi scambiarsi l’una con l’altra. Il voto del 15 febbraio, sulla riforma dello schema, è stato un altro passo importante per raggiungere l’obiettivo dell’Ue di ridurre le proprie emissioni di almeno il 40% entro il 2030. Gli emendamenti avanzati dalla Commissione e approvati dal Parlamento europeo sono principalmente volti ad accelerare la diminuzione delle quote e rinforzare il mercato di scambio. La proposta introduce anche meccanismi di sostegno per il finanziamento delle cosiddette “tecnologie verdi”, e per il rinnovamento complessivo del settore dell’energia. Il comitato per l'ambiente del Parlamento (ENVI), riunito in sessione straordinaria il 15 dicembre scorso, aveva già apportato diverse modifiche alla riforma, per garantire alle industrie europee ad alto consumo energetico di non ritrovarsi svantaggiate sui mercati internazionali. Questo aveva generato le proteste di alcune organizzazioni non governative, ad esempio il Climate Action Network, ma aveva permesso al testo di essere approvato con una larghissima maggioranza, cosa che accade raramente sui dossier climatici. Una riforma dell’ETS più ambiziosa Il fatto chei crediti di emissione possano essere venduti o acquisiti liberamente, come in qualsiasi altro mercato, è un vantaggio ovvio del sistema di scambio. Iprezzi però sono scesi oltremisura negli ultimi anni, in parte per colpa della crisi finanziaria del 2008, ostacolando di parecchio il successo dello schema. Attualmente, il costo attribuito alla produzione di CO2 (il “carbon price”) fluttua attorno ai 5€ per tonnellata, una cifra senza dubbio troppo bassa per stimolare le imprese europee a fare grossi investimenti nel “cleantech”. Inquinare rimane semplicemente l’opzione meno cara per molte industrie. L’accelerazione della diminuzione di quote disponibili sul mercato ha anche lo scopo di fare salire i prezzi gradualmente. Ma sarà abbastanza per fare ripartire l’innovazione “low-carbon” ancora troppo lenta in Europa? Aumentare il “carbon price” ad un minimo di 20-30€, come suggerito dallo studio d’impatto originale della Commissione e da molti altri analisti, darebbe senz’altro incentivi più chiari alle aziende europee per modernizzarsi e diversificarsi ulteriormente, mettendo a frutto attrezzature più efficienti e non inquinanti. Un “carbon price” più alto significherebbe ugualmente maggiori ricavi annui per il budget dell’Unione. Questi potrebbero essere usati per finanziare la ricerca nelle tecnologie pulite, per la quale nell’ultimo decennio i sussidi europeisi sono visti progressivamente ridotti. Ci sono anche molte opportunità di investimenti da sfruttare all’estero. Durante la COP22 a Marrakech, ben quarantotto tra le nazioni più vulnerabili agli effetti del riscaldamento climatico – il gruppo del Climate Vulnerable Forum – si sono impegnate a produrre il loro fabbisogno energetico interamente da fonti ecosostenibili entro il 2050. Assistere questi Paesi sovvenzionando progetti di infrastruttura potrebbe contribuire a riportare l’Ue all’avanguardia nel settore delle energie rinnovabili. Un’opportunità per l’Europa L’economia mondiale si trova in una fase di cambiamenti epocali e la sua “decarbonizzazione” è oramai irreversibile. L’Ue, come altre superpotenze, ha molti incentivi - inclusi quelli di naturaeconomica - a mantenere e intensificare le sue politiche ambientali, anche in un periodo di dubbio sul futuro dell’Accordo di Parigi. La riforma dell’ETS arriva dunque in un momento cruciale e mostra quanto l’Europa sia decisa a proseguire e sviluppare il suo programma climatico. Tuttavia per rinforzare realmente il sistema di scambio è anche necessario alzare rapidamente il prezzo delle quote. Non solo aiuterebbe l’Ue a ridurre più velocemente le proprie emissioni di gas ad effetto serra, ma galvanizzerebbe anche il rinnovamento dell’industria europea stimolando l’innovazione “low-carbon”. Matteo Malacarne, laureato in ingegneria civile e ambientale presso l’Imperial College di Londra, ha lavorato nel settore dell’Oil & Gas e all’European Political Strategy Centre della presidenza della Commissione europea; attualmente è Public Affairs Manager presso EU Strategy, società di consulenza in affari istituzionali europei. |
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